Un pò di Storia

Musica in ricordo del Maestro Ennio Morricone – L’estasi dell’Oro (In Concerto – Venezia 10.11.07)

 


Società Operaia di Mutuo Soccorso

Le Società di Mutuo Soccorso, come la Nostra Società Operaia, derivano probabilmente dai “collegia tenuiorum o corpora opificum“, le associazioni degli artigiani  e della piccola borghesia presenti nell’antica Roma che rappresentarono una primordiale forma di organizzazione proletaria per affrontare i disagi dovuti a malattie, invalidità, guerre, povertà, vecchiaia; esse costituirono una protezione per gli esercenti in epoca imperiale. Col prodotto delle quote mensili (stips menstrua) formavano una cassa per provvedere anche alle spese del culto e alla tomba dei singoli soci.
Questi collegia tenuiorum, di gente cioè di bassa condizione, riprodotti nella società cristiana, assunsero il nome di frates o ecclesia fratum e nel medioevo confratrie o confraternite.

Una di queste federazioni si riuniva col titolo di S. Maria dei Naupattitessi, ossia fabbricatori di navi, in una cappella sotterranea della chiesa di S. Michele Arcangelo in Palermo, terminata di fabbricare nell’anno 1048. I capitoli, in lingua greca, si conservano ancora nell’archivio della R. Cappella Palatina di Palermo.

Quando la società romana mutò il suo assetto costitutivo, dividendo i cives, cioè i residenti dei grandi centri urbani, dai vici, i residenti delle campagne e delle aree periferiche, lo sviluppo dell’economia cambiò la struttura delle organizzazioni, ai collegi, infatti, si affiancarono le corporazioni, le congregazioni, le università e le scuole.
Ma i veri vantaggi sociali si ebbero dalla confraternita di S. Maria de Latina di Messina, che fu gestita dai monaci di S. Maria di Gerusalemme, per decreto del Conte Ruggero (Pirro 1178); <se qualcuno si ammali e sia povero, sia soccorso coi beni della confratria ed abbia servo o serva con lampada, e sia assistito fino alla morte da quattro confrati, che lo porteranno nella chiesa ove dovrà essere sepolto dopo la messa. E se un confrate povero sarà infermo in località lontana una giornata e mezza, sia trasportato in Messina e trattato come sopra>.

Queste spontanee associazioni ebbero successo per molti secoli, fino alla nascita delle corporazioni di tipo medioevale, create da artigiani e commercianti per la difesa degli interessi di categoria.
Sotto il nome di arti, si comprendono, così nel Medioevo come nell’età moderna, le unioni degli artigiani, dei mercanti e dei lavoratori in genere, che esercitano la stessa professione o mestiere, e che sono soggette a determinate regole.

Ogni Comune ebbe le sue confraternite che assistevano i fratelli durante la malattia, nelle assemblee cantavano gli inni sacri latini (Dies irae) e nelle festività portavano una nota gioconda e pittoresca.

Ma col volgere dei secoli le confraternite degenerarono,arrivando quasi a sottrarsi all’autorità della Chiesa, formando un mondo religioso a parte. Diventarono centri di faziosità e di esagerato puntiglio.

Pertanto al parlamento ne fu chiesta ed approvata la soppressione.

il Pisanelli fu contro l’opinione della maggioranza (Atti Ufficiali 21 Luglio 1867. < sapete Signori che in alcune parti d’Italia e segnatamente nelle provincie meridionali, tutto il paese si trova affratellato in codeste congregazioni? credo che in Napoli ce ne siano quattrocento e innumerevoli se ne trovano nelle minori città ove sono confratelli tutti i contadini e tutti gli operai. Essi hanno la gioia, nei dì festivi, di vestire l’abito della confraternita…

Signori, il povero non ha balli, non ha teatri, le sue feste sono nelle chiese e voi non avete il diritto di rapirgliele: e qualora l’aveste, sarebbe esercitato con villania e barbarie, perchè il povero non solo ritrae da questi sodalizi consolazione e conforto, ma ancora sentimenti di amore e di pietà>.

Le Società Operaie di Mutuo Soccorso alla fine del 1700, come esperienze di associazionismo volontario, risposero alla necessità di forme di autodifesa del mondo del lavoro, queste società si fondavano sulla mutualità e sulla solidarietà ed erano intimamente legate al territorio dalle quali nascevano.
La spinta alla loro nascita venne da una progressiva presa di coscienza da parte delle masse lavoratrici, dalla propria condizione di sfruttamento e dalla necessità di ricercare in se stesse la forza, le energie e gli strumenti per far fronte alla propria situazione di precariato.

Esse si fondarono sull’unione delle forze per raggiungere obiettivi di promozione economica e sociale.

Fra i principali fini delle Società di Mutuo Soccorso vi erano, ovviamente, gli interventi in caso di infermità e la previdenza, ma anche l’istruzione per i soci ed i loro familiari.

Gli oneri inerenti gli eventuali bisogni dei singoli, aventi diritto alle prestazioni, venivano ripartiti fra tutti gli associati.

Le Società di Mutuo Soccorso non hanno avuto solo una matrice laica, nel luglio 1854 nasce a Genova la prima Società Operaia Cattolica Italiana, la Compagnia di San Giovanni Battista, difatti il mondo clericale più aperto e illuminato si era convinto della necessità di poter dare una risposta ai nuovi bisogni di una società in forte cambiamento, riunendo i lavoratori cattolici in proprie Società di Mutuo Soccorso; questa prima società cattolica aveva visto predisporre il proprio statuto dai Sacerdoti, Luigi Radif e Luigi Sturla, promuovendo un proprio statuto di 48 articoli che, in seguito, fungerà da testo base per le successive associazioni operaie cattoliche.
Il primo articolo dello statuto affermava che “Il fine della Compagnia è di soccorrere le famiglie della classe operaia, non solamente per sollevarle dalle infermità corporali, ma per renderle morigerate e sollecite nell’adempimento dei loro doveri verso Dio e verso il prossimo”, … e così, da allora, è stato anche a Francofonte.

<Così si rivolgeva Giuseppe Mazzini agli operai nel 1861: “Londra, 14 agosto 1861. Fratelli, mal fermo in salute, non potei rispondere prima al vostro carissimo invito del 21 maggio, ch’ebbi più tardi assai, ma vi risposi col core. Accetto con soddisfacimento fraterno, e vi prego di inscrivere il mio nome nei registri, come socio onorario, e d’accettare la mia sottoscrizione mensile di tre franchi. Cerco modo di farvi giungere sicuramente il versamento di un anno, e lo troverò. In voi, operai, fratelli miei, vive l’avvenire d’Italia, se sapete intendere la vostra missione: missione nazionale e locale, missione morale, intellettuale ed economica ad un tempo. Un suggerimento fatale, improvvisamente accettato da alcune delle vostre Società, cerca di limitare la vostra azione collettiva al solo miglioramento economico ed esiliarla dalla discussione dei grandi interessi della patria comune: come se la vita dell’operaio dovesse smembrarsi a frammenti e ridursi alla pura esistenza materiale: come se l’avere una patria potente, onorata, sicura da ogni assalto straniero, amata dai popoli, ricca di vincoli fraterni con essi, non fosse pegno di ricchezza interna, fondamento d’ogni miglioramento economico, e guarentigia della sua durata. La dottrina che gli operai non dovevano occuparsi che dei loro interessi materiali, ha condotto la Francia alla perdita di ogni libertà, ed ha diminuito (fuorché nelle tre o quattro grandi città dove il Governo mantiene, per sue mire, lavori artificiali di fabbricazione) il benessere materiale della vostra classe. E le condizioni economiche dei popolani non furono mai così splendide come nelle nostre repubbliche di cinque secoli addietro, quando le consorterie operaie si raccoglievano sotto i loro gonfaloni a parlamento sulle piazze o nei templi, ogni qualvolta le cose della loro città chiamavano tutti a provvedervi. Oggi, Roma, fatta nostra, darebbe all’Italia, discusso maturatamente da un’Assemblea Costituente, un patto nazionale che fonderebbe probabilmente il credito delle Associazioni Operaie; e Venezia, conquistata alla libertà, riaprirebbe al commercio italiano una serie di nuovi mercati ai nostri prodotti, fra le popolazioni della grande valle del Danubio e dell’Oriente Europeo. Libertà, Unità Nazionale, emancipazione dei popoli, progresso materiale, tutto è connesso. Chi insegna agli operai la separazione fra queste cose, tende a far degli operai una casta inferiore, che spera monopolizzare a proprio vantaggio. Respingete, fratelli, il consiglio insidioso: e respingetelo dall’alto del vostro dovere, del vostro miglioramento morale. Il dovere verso Venezia e Roma è dovere nazionale, e voi siete parte della Nazione. Avete diritti; ma non ne otterrete il libero esercizio se non compiendo quel dovere, come non otterrete miglioramenti importanti, stabili e materiali, finché il suffragio non vi abiliterà a scegliere rappresentanti i quali esprimano i vostri bisogni, le vostre vere condizioni nelle assemblee della Nazione. Unitevi; unitevi da un punto all’altro della nostra terra. Vi sono per voi interessi locali, e ciascuna delle vostre Società deve rappresentarli. Vi sono interessi generali, comuni a tutta quanta la classe degli uomini del lavoro, e questi pure devono essere rappresentanti. Come avete statuti locali, dovreste avere uno Statuto generale. Come i primi sono amministrati dai Comitati delle singole associazioni, il secondo dovrebbe essere rappresentato da una Direzione Centrale. Date opera a questo. I congressi senza statuto, senza legge fondamentale, non bastano. Voi dovreste, nel prossimo Congresso, eleggere tra voi una Commissione che dasse opera a questo Statuto. La Fratellanza Artigiana di Firenze e il suo Statuto agevolerebbero di molto il lavoro della Commissione. Discusso ed accettato in un Congresso successivo, quello Statuto sarebbe applicato dalla Direzione centrale, che eleggereste. Allora, la potenza dell’elemento operaio sarebbe costituita. La Lega del popolo sarebbe fondata. Diffondete, se vi paiono giuste, queste idee tra le Società Operaie delle città di Romagna. Preparate il terreno all’unificazione. Date la vostra firma alla protesta per Roma. Date il vostro obolo, qualunque siasi, al fondo emancipatore di Venezia. Quanto a me, se Dio mi dà vita oltre il riscatto di Venezia e Roma, essa sarà tutta consacrata allo sviluppo degli interessi vostri, che sono gl’interessi di Italia. S’ei me la toglie prima, ricordatevi con un po’ d’affetto d’un uomo che v’ha sinceramente amati, e che ha sperato molto da voi per la patria, quando nessuno si occupava di voi, della vostra emancipazione e del vostro avvenire. Abbiatemi fratello, Giuseppe Mazzini.”>

La Società Operaia l’Unione di Francofonte e’ la più’ antica Associazione esistente sul territorio, ha avuto e ha questi compiti, li assunse nel lontano 1871, ovvero nel 1876, anno dell’avvenuta registrazione nel Registro Notarile.

Nel 1871, infatti, nella Chiesa detta “dello Spedale”, a Francofonte, che si trovava dirimpetto la Chiesa del Carmine, fu fondata la Società Operaia.

In essa si accedeva tramite una scalinata di dieci gradini, necessari causa la modifica nel rifacimento del piano stradale che determinò l’abbassamento della strada principale del paese.

La Chiesa dello Spedale già a metà degli anni 50 del 1800 non veniva adibita al culto popolare ma utilizzata come Scuola Elementare.

Dopo la soppressione dei beni ecclesiastici, la Scuola Elementare di Francofonte fu allocata nel pianterreno dell’ex Monastero di San Benedetto.

Gli illustri Francofontesi Giuseppe Terranova e Filomeno Marcellino acquistarono e istituirono nella suddetta Chiesa “dello Spedale” la Società Operaia “l’Avvenire” che successivamente, nel 1874, fondendosi con la Società denominata “I Figli del Lavoro”, diede vita, anche per il volere e l’impegno del Sig. Severino Gaudioso, alla Società Operaia l’Unione”.

Il sostantivo “l’Unione” fu consigliato dal Generale Giuseppe Garibaldi tramite epistola.

La lettera in questione, da circa vent’anni, non si trova più custodita nei locali della S.O.M.S. Essa fu indebitamente sottratta alla Storia da qualche “solerte” amministratore S.O.M.S. che desiderò appropriarsi di tale riconoscimento e “pezzo di storia”.

Il Cavaliere Avv. Giuseppe Terranova, rappresentava la loggia massonica di Francofonte in Sicilia, intitolata “Mentana”, su delega di un altro francofontese il “venerabile” Salvatore D’Amico. Tale loggia di Rito Scozzese, obbediva al Grande Oriente d’Italia.
L’Avv. Terranova, ricordiamo, per primo a Francofonte ricevette la nomina di Cavaliere della Corona d’Italia.
Egli nacque a Francofonte il 9 Novembre 1847 da Carmelo, Notaio e Giudice e Ignazia Caponetto; assieme agli amici Prof. Filomeno Marcellino e dall’ Ing. Gregorio Cerasa fondarono la Nostra Societa’ Operaia e da allora, inserita stabilmente nel tessuto sociale della comunità francofontese, ha rappresentato, difeso, promosso e garantito quei valori che per Statuto Garibaldino si diede.
Il Generale Giuseppe Garibaldi intrattenne un costante rapporto con l’associazionismo popolare democratico che si stava costituendo, tramite le Società Operaie di Mutuo Soccorso.
Fin dalla nascita delle prime Società, a metà Ottocento, Garibaldi ne incoraggiò l’attività, convinto che la futura grandezza d’Italia stava soprattutto nelle classi lavoratrici.
«I contadini e gli operai – scriveva – sono il braccio destro della nazione». L’art. 30 del Nostro Statuto recita: <L’effige del Generale Giuseppe Garibaldi, Presidente Onorario perpetuo, rimarrà esposta per sempre all’interno dei Nostri Locali Sociali>.
Figlio del popolo, egli favorì la costituzione di nuove Società Operaie, offrendo assistenza con consigli ed opere, con l’obiettivo dell’educazione e dell’elevazione sociale e culturale degli operai. Egli invito’ le Societa’ Operaie a fregiarsi del sostantivo l’UNIONE e benedisse come farebbe un padre con i propri figli, la costituzione del Nostro Sodalizio.
UNIRE L’ITALIA fu dunque il motto col quale donne e uomini accomunati dagli stessi ideali, dallo stesso mestiere, dalla stessa occupazione, dalla stessa religiosità, decisero di unire le forze per creare una nuova Nazione.

La Società Operaia, scriveva testualmente il nostro illustre concittadino Antonino Pico, ha rappresentato negli anni il termometro vero della prosperità, della moralità e del progresso. La ricchezza di un paese come Francofonte non dipende dall’accumulamento in pochi mani d’ingenti capitali e proprietà, come comunemente si crede, ma soprattutto dalla distribuzione equa dei beni e del benessere e nella relativa agiatezza della classe lavoratrice, nella quale s’inchiudono i germi e la potenza genetica di ogni sociale ricchezza, … l’operaio deve sempre rimanere in miseria? Non deve mediante i suoi stenti e le sue fatiche potere elevarsi ad una condizione economica migliore e indipendente? Non dev’essere all’operaio permesso di sperare per l’avvenire un certo benessere e godimento della vita se questo benessere egli se lo prepara onestamente a furia di sudori? Non dev’esserci un premio del lavoro? In altri termini non dev’egli una parte dei suoi lucri poterla risparmiare senza molestie del fisco e destinarla all’educazione de’ suoi figli, al riposo della sua vecchiaia, o ad accrescere la sua potenzialità produttiva? Deve da vero sempre prevalere la logica di coloro che dicono che l’operaio dev’essere tenuto in istato di bisogno per poterlo comandare e padroneggiare? … il salariato è necessario alla produzione capitalistica, ma non gli si neghi però anche la dignità di uomo! (a proposito della tassa sugli esercizi e rivendite – conferenza letta nell’Associazione Democratica di Francofonte il 14 Maggio 1896).

Il 13 Luglio 1887 l’epidemia di colera, già manifesta nella città di Catania e paesi limitrofi, compare in tutta la sua drammaticità anche a Francofonte. La Società Operaia decise di rispondere alle necessità dei Soci e di tutti i francofontesi, aprendo il proprio Mutuo Soccorso ai bisognosi, ciò avvenne con apposita delibera assembleare votata all’unanimità.

Fu pure costituito un proprio “Comitato d’Assistenza” e tutti i soci abili si resero disponibili a sostenere la popolazione rimasta in paese (chi potè scappò in campagna o in altri luoghi ancora non contaminati).

Il Registro delle Società di Mutuo Soccorso riporta che la Nostra Società Operaia nasce come cooperativa di Mutuo Soccorso, nel Dicembre 1893 contava 114 Soci ed aveva un capitale di Lire 117.760.

Il 16 Luglio 1917 l’Assemblea dei Soci deliberò la realizzazione di un “Impianto di Magazzino Cooperativo” per l’acquisto di frumento e altri generi di consumo per conto del Sodalizio per far fronte alle necessità dettate dallo stato di necessità determinate dal conflitto mondiale.

Nell’Assemblea Generale dei Soci tenutasi il 20 Gennaio 1921 si approvò di sostenere i Soci ammalati con una diaria di Lire 1,50 per i primi 30 giorni e di Lire 2,00 per i successivi.

Paolo Gallo (2017). ®Tutti i diritti riservati.

 

 

 

 

 

 


 

Artale Alagona

Due uomini politici e condottieri ebbero questo nome e cognome.

Il primo nacque nel 1320 e morì a Catania nel 1389, successe nel 1355 al padre Blasco quale gran giustiziere del regno e nel comando del potere catalano in Sicilia. Fu tutore del Re Federico il Semplice; si batté contro i velleitarismi angioini, che avevano trovato in Sicilia l’appoggio della potente famiglia Chiaramonte, riportando una significativa vittoria ad Aci (27 Maggio 1377) sull’esercito di Luigi d’Angiò, e successivamente liberando Messina dall’assedio degli angioini-napoletani (1364).

Alla morte di Federico (1377), Artale fu bàiuolo (tutore) dell’unica sua figlia Maria, destinata alla successione al trono; fu, inoltre, uno dei quattro vicari che governarono la Sicilia durante la minore età della Regina Maria.

In questo periodo, tentò d’intraprendere una “politica italiana” in Sicilia, attraverso l’offerta della mano di Maria a Giangaleazzo Visconti, ma nel Gennaio del 1379, il Conte Guglielmo Raimondo Moncada rapì Maria dal Castello Ursino di Catania, trasportandola prima a Licata, poi ad Augusta, città che fu sottoposta a un violento quanto vano assedio da parte dell’Alagona; Maria sposerà più tardi (1391), a Barcellona, Martino il giovane(figlio del Duca di Montblanc), il quale diverrà re di Sicilia.

Il secondo morì a Milano nel 1402 ed era nipote (figlio del fratello Manfredi) del precedente.

Nacque presumibilmente nella seconda metà del XIV secolo, da Manfredi, barone di Vizzini, e da Luchina Moncada, figlia di Perricone, Signore di Bulfida, e nipote del nobile catalano Guglielmo Raimondo di Moncada, capostipite della dinastia in Sicilia.

Esso fu l’animatore in Sicilia di un vasto movimento di ribellione baronale contro i Martini (il Vecchio e il Giovane, quest’ultimo fu re di Sicilia), sia sotto lo stimolo dell’interesse personale, sia per le pressioni di Bonifacio IX. Da Catania, prima, il focolaio della rivolta si spostò con l’Artale ad Aci e si diffuse in tutta la Sicilia centro-orientale (1392). Né le minacce, nè la promessa del duca Martino di concedergli l’investitura della contea di Malta valsero a piegarlo: ché, anzi, continuò la lotta per un triennio e pose in serie difficoltà il corpo di spedizione aragonese. Uscì dal suo castello di Aci nel 1395 per recarsi in cerca di aiuti a Genova ed a Milano. Alla corte viscontea riprese l’antico disegno dell’omonimo zio, di far intervenire Giangaleazzo Visconti negli affari siciliani. Tale progetto stava per realizzarsi, quando motivi politici sopravvenuti allontanarono il Visconti dall’impresa isolana. Artale, che, intanto, era tornato in Sicilia a rianimare la lotta, fu costretto ad esulare a Gaeta, donde continuò, con navi proprie, ad incrociare nei mari siciliani. Persa ogni speranza, si trasferì a Milano. Qui fu ammesso tra i familiari del duca e fu nominato podestà di Pavia (1401) e di Milano (1402).

Esso fu probabilmente (o il fratello) il fondatore di Francofonte (Rocco Pirro, Sicilia Sacra, cit., f. 683: <Francofons uberrimis fontibus circumscatentibus insigne oppidum, ab Artali Alagona conditum est>) .

La Società Operaia l’Unione di Francofonte, nel ricordo del fondatore della città, ha istituito un’onorificenza per premiare, annualmente, tre “eccellenze francofontesi”, il Premio Artale Alagona.

Paolo Gallo (2017). ®Tutti i diritti Riservati.

 fonti: Enciclopedie Treccani, di Catania e Biblioteca Comunale di Francofonte



descrizione di Hidra tratto da "Sopra la Geneologia degli Dei de Gentili" di Messer Giovanni Boccaccio Libro XIII (Google-Libri)

L’Analfabetismo

Negli anni 1921 – 1922 fu dato mandato ministeriale all’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia di operare contro l’analfabetismo nella Sicilia Orientale, pertanto fu dato l’incarico all’Ufficio Regionale di Catania di provvedere in tal senso.

Dare al popolo i libri che rispondono meglio alla sua anima, ai popolani far conoscere la terra natia, ai giovani ridare l’amore dell’arte, del canto, della poesia, della sapienza paesana, essere la voce di tutti, servire tutti per servire l’idea, senza mai transigere coi fiacchi, coi maldicenti, cogli inetti. Sembrano frasi e proponimenti attuali ma sono le parole pronunciate costantemente a quel tempo dall’Illustre Professore Giuseppe Lombardo Radice, il quale con le sue inesauribili e fresche energie aveva scatenato una vera battaglia in tutti i paesi dell’isola per portare ovunque una fiamma di progresso e di rinnovamento.

L’associazione intraprese l’opera rispondendo alle richieste dei Comuni.

Furono istituite le scuole serali, festive e diurne.

Oltre 300 scuole ebbero i loro maestri, il materiale scolastico, l’arredamento, l’illuminazione.

A Francofonte fu istituita la scuola serale condotta dalla maestra Giuseppa Fontanarosa e furono elargiti 17 premi agli studenti meritevoli.

I premi consistettero, in saponette, calamai, camicie, fazzoletti, orologi.

Affinché tutto funzionasse presto, le Società di Mutuo Soccorso come la Nostra Società Operaia si sobbarcarono l’onere di fornire tutto l’arredamento scolastico.

La S.O.M.S. di Francofonte trasportò anche e a proprie spese l’arredamento.

Paolo Gallo (2017). ®Tutti i Diritti Riservati.


Francofonte 1886

Il Sindaco di Francofonte nel 1886 fu l’Avv Cav. Cocuzza Lorenzo.

Il Comune contava 10.000 abitanti, apparteneva al collegio elettorale di Augusta (SR), al Capoluogo Mandamentale di Lentini e alla Diocesi di Siracusa.

L’economia era basata sull’agricoltura, si producevano olio, caci, frumento e agrumi.

Vi era un Ufficio Postale e un Ufficio Telegrafo.

Giornalmente con l’Omnibus si facevano due corse per raggiungere la Stazione Ferroviaria di Lentini. Il tempo di percorrenza era di ore 2.

Il Segretario Comunale era il Signor Caponetto Francesco.

Vi erano tre alberghi gestiti rispettivamente dai Signori Franco Carmelo, Inserra Salvatore, Maugeri Tommaso;

I Signori Canzonieri Vincenzo, Inserra Alfio, Inserra Francesco, Inserra Rinaldo e Vitale Carmelo erano merciai.

Il ruolo di mediatori in cereali era svolto dai fratelli Caponetto, fratelli Ferlito e Papa Francesco.

Vi erano quattro esercenti di mulino: i Signori Gulizia Girolamo, Terranova Giovanni, Trigilio Francesco e Ribera Giuseppe.

I produttori di olio d’oliva erano i Signori Amico Dott. Giuseppe, Cancellieri dott. Gaetano, Cocuzza Cav. Andrea, eredi Lentini, Magnano Giuseppe, Papa Antonino, Ricciardolo Matteo, Terranova Cav. Giuseppe, Vassallo Corrado e Zingali Avv. Antonio.

Possedevano un negozio di pellami i Signori Caponetto Giuseppe, Colosi Nicolò e Sodaro Francesco.

Vi erano tre rivendite di tabacchi (dette privative) gestiti dai Signori Mastrogiacomo Gesualda, Mazzone Rosaria, Vitale Carmelo.

I negozi di sartoria erano gestiti dai Signori Belfiore Vincenzo, Sidoti Carmelo e Sidoti Salvatore.

Avevano il negozio di tessuti i Signori D’Urso Angela, Pizzuto Giuseppe e Vitali Maddalena.

Vi era una trattoria gestita dal Signor Messina Salvatore.

Inoltre vi erano i seguenti professionisti:

Architetto Mastrogiacomo Stefano.

Agrimensore: Caponetto Giuseppe.

Agronomi: Mastrogiacomo Salvatore, Iachello Francesco.

Avvocati: Belfiore Carmelo, Cancellieri Pietro, Cancellieri Gaetano, Cocuzza Lorenzo, Vassallo Giuseppe e Zingali Antonio,

Farmacisti: Battiati Raffaele, Calamai Giovanni, Gaudioso Cesare e Gentile Carmelo.

Ingegneri: Cerasa Gregorio, Marcellino Paolo, Mastrogiacomo Stefano.

Medici-Chirurghi: Amico Giuseppe, Belfiore Francesco, Cocuzza Sebastiano, Gaudioso Guglielmo, Lentini Giovanni, Marcellino Angelo e Mastrogiacomo Giacomo.

Notai: Iachelli Salvatore e Alonzo Avv. Ercole.

La fiera del bestiame si teneva la prima Domenica di Ottobre.

Paolo Gallo (2017). ®Tutti i diritti riservati.

Tratto dall’Annuario Generale del Regno 1886.


La Pretura di Francofonte venne soppressa il 17 Dicembre 1891.

Legge 30 Marzo 1880 art.14


Francofonte 1905

Nel 1905  l’Ing. Cerasa Gregorio fu Sindaco di Francofonte.

Il Comune contava 10.046 abitanti, apparteneva al collegio elettorale di Augusta (SR) e alla Diocesi di Siracusa.

L’economia era basata sull’agricoltura, si producevano olio, vino, caci, frumento e agrumi.

Il Segretario Comunale era il Signor Caponetto Francesco, l’Esattore Signor Franco Carmelo, il Conciliatore il Signor Iachelli Salvatore.

Vi erano quattro alberghi gestiti rispettivamente dai Signori Franco Carmelo, Inserra Salvatore, Montalto Sebastiano e Murè Carlo;

Una drogheria gestita dal Signor Lo Bianco Sebastiano.

I Signori Canzonieri Vincenzo, Inserra Alfio, Inserra Francesco, Inserra Rinaldo, Rapaglià Salvatore e Vitale Carmelo erano merciai.

Il ruolo di mediatori in cereali e olio era svolto dai fratelli Caponetto, fratelli Ferlito, dai Signori Baccalaro Pasquale, Blandini Raffaele, Interlanti Salvatore, Linguanti Giuseppe, Linguanti Rosario, Papa Francesco e Ragusa Salvatore.

Vi erano quattro mulini gestiti, nella qualità di esercenti, dai Signori Gulizia Girolamo, Terranova Giovanni, Trigilio Francesco e Ribera Giuseppe.

I produttori di olio d’oliva erano i Signori Amico Dott. Giuseppe, Cancellieri Dott. Gaetano, Canfarotta Girolamo, Cerasa Gregorio, Cocuzza Cav. Andrea, eredi Lentini, Magnano Giuseppe, Papa Antonino, Ricciardolo Matteo, Terranova Cav. Giuseppe e Zingali Avv. Antonio.

Possedevano un negozio di pellami i Signori Caponetto Giuseppe, Colosi Nicolò e Sodaro Francesco.

Vi erano tre rivendite di tabacchi gestiti dai Signori Inserra Francesco, Mazzone Rosaria, Vitale Carmelo.

Le sartorie erano gestite dai Signori Amato Giuseppe, Belfiore Vincenzo, Caldiero Alessandro, Nicoletti Giovanni, Nicoletti Giuseppe, Pulicano Filippo, Sidoti Salvatore, Vitali Gesualdo.

Avevano il negozio di tessuti i Signori D’Urso Angela, Mascolino Carmelo, Motta Sebastiano, Pizzuto Giuseppe, Rosso Sebastiano e Vitali Maddalena.

Vi erano due trattorie gestite dai Signori Messina Salvatore e Tuccio Giuseppe.

Inoltre vi erano i seguenti professionisti:

Architetto Mastrogiacomo Stefano.

Agrimensori: Mastrogiacomo Salvatore e Iachello Francesco.

Avvocati: Cancellieri Pietro, Cocuzza Lorenzo, Vassallo Giuseppe,

Zingali Antonio, Zingali Antonino di Antonio.

Farmacisti: Battiati Raffaele, Gaudioso Cesare.

Medici-Chirurghi: Amico Giuseppe, Bellofiore Francesco, Cocuzza Sebastiano, Gaudioso Guglielmo, Lentini Giovanni, Marcellino Angelo.

Notai: Iachelli Salvatore e Motta Angelo.

La fiera del bestiame si teneva la prima Domenica di Ottobre.

Vi era un Ufficio Postale di 2a Classe gestito dal Signor Gallo Paolo e il servizio telegrafico veniva svolto in orario limitato.

Per raggiungere la stazione ferroviaria di Lentini, che distava più di km.16, si utilizzava l’Omnibus.

Paolo Gallo (2017). ®Tutti i diritti riservati.

Tratto dall’Annuario di Sicilia “La Trinacria” 1905-1906

(Guida Generale dell’Isola)


Nel 1935 venne istituito a Francofonte il Corso secondario di Regie Scuole di Avviamento Professionale tipo agrario


Notizie su Francofontesi

GAUDIOSO Francesco fu Pietro e di Magnano Giovanna, nato a Francofonte (SR) il 19 Luglio 1896, res. a Francofonte, coniugato con un figlio, possidente, ex combattente, fascista.

Arrestato il 12 settembre 1935 perché ritenuto fomentatore di beghe locali, per truffa e tentato ricatto.

Assegnato al confino per anni tre dalla Corte Penale di Siracusa con Ord. del 16 Settembre 1935.

Sedi di confino : Rogliano, Bianchi.

Liberato il 26 Maggio 1936 in occasione della proclamazione dell’Impero.

Periodo trascorso in carcere e al confino: mesi otto, giorni 15.

Il 2 Settembre 1922 fondò il fascio di Francofonte, di cui fu il primo segretario politico, e partecipò alla marcia su Roma.

Nel 1925 fu nominato primo Sindaco fascista, essendosi distinto precedentemente nella distruzione delle Camere del lavoro di Francofonte e Pedagaggi. Fu altresì membro della federazione provinciale fascista di Siracusa, commissario straordinario dei fasci di Caltagirone e Scordia e organizzatore del dopolavoro rurale di Francofonte.

Al confino fu condannato a tre mesi di arresto per contravvenzione agli obblighi. (b. 463, cc. 75, 1935-1936).

MAGNANO Sebastiano di Sebastiano e di Catenella Carmela, nato a Francofonte (SR) il 4 Ottobre 1903, res. a Francofonte, celibe, calzolaio, socialista.

Arrestato il 12 Novembre 1935 per propaganda disfattista avendo manifestato davanti ad un caffè opinioni contrarie all’impresa in Africa Orientale, dando ragione alla Francia e all’Inghilterra per le sanzioni contro l’Italia.

Assegnato al confino per anni due dalla Corte Penale di Siracusa con Ord. del 27 Novembre 1935. La Corte di Appello con Ord. del 12 Marzo 1936 ridusse il periodo a sei mesi.

Sede di confino: Bocchigliero.

Liberato il 12 Maggio del 1936 per fine periodo trascorso in carcere e al confino mesi sei, giorni 1. (b. 592, cc. 31, 1935-1936).

Paolo Gallo (2017). ®Tutti i diritti riservati.

Articolo tratto dall’Archivio Centrale dello Stato. Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Sicilia.


CAVALLERIA RUSTICANA”

Cavalleria rusticana è un’opera in un unico atto di Pietro Mascagni, andata in scena per la prima volta il 17 maggio 1890 al Teatro Costanzi di Roma, su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, tratto dalla novella omonima di Giovanni Verga. Viene spesso rappresentata a teatro insieme a un’altra opera breve, Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Iniziatore di questo singolare abbinamento fu lo stesso Mascagni che nel 1926, al Teatro alla Scala di Milano, diresse entrambi le opere.
Cavalleria rusticana è certamente la più nota fra le sedici composte dal compositore livornese (oltre a Cavalleria rusticana, solo Iris e L’amico Fritz sono rimaste nel repertorio stabile dei principali enti lirici).

La prima rappresentazione di Cavalleria rusticana ebbe un successo inaudito; Mascagni fu richiamato sul palco dagli applausi del pubblico per quattro volte e vinse il Primo Premio del concorso della Casa Editrice Sonzogno. In quello stesso anno, in seguito al tutto esaurito delle repliche al Teatro Costanzi, l’opera fu rappresentata in tutta Italia, oltre che a Berlino, a Budapest e a Londra (allo Shaftesbury Theatre nell’ottobre 1891 e al Royal Opera House nel maggio 1892).
<La scena si apre nel paese siciliano di Vizzini (che ha dato i natali a Giovanni Verga), durante il giorno di Pasqua.
Compare Turiddu che canta in dialetto siciliano una serenata a Lola, oggi la moglie di compare Alfio, ma un tempo sua fidanzata.

La scena si riempie di paesani e paesane in festa; giunge anche Santa, detta Santuzza, attuale fidanzata di Turiddu, che non si sente di entrare in chiesa sentendosi in grave peccato (aspetta un figlio da Turiddu). Parla allora con mamma Lucia, madre di Turiddu, chiedendole notizie del figlio. Lucia dice a Santuzza che Turiddu è andato a Francofonte a comprare il vino, ma Santuzza sostiene di aver visto Turiddu che si aggirava sotto la casa di Lola (anche Alfio ha notato Turiddu nei paraggi della sua casa).
Lucia chiede allora a Santa di entrare in casa per paura che qualcuno la possa ascoltare, ma quest’ultima si rifiuta perché si sente disonorata. La notizia arriva anche ad Alfio, che ignaro di tutto va a trovare Lucia. A questo punto Santuzza svela a Lucia la relazione tra Turiddu e Lola. Egli ormai l’ha disonorata per ripicca contro Lola, alla quale prima di andare soldato aveva giurato
fedeltà eterna e che ora continua a frequentare, sebbene sia sposata. Giunge anche Turiddu che discute animatamente con Santa; interviene anche Lola che sta per recarsi in Chiesa e le due donne si scambiano battute ironiche.
Turiddu segue Lola, che è sola perché il marito lavora.
Santuzza augura a Turiddu a “malapasqua” e, vedendo arrivare Alfio, gli denuncia la tresca amorosa della moglie.
Dopo la messa, Turiddu offre il vino a tutti i paesani per stare più tempo con Lola. Alfio entra in scena e Turiddu gli offre il vino, ma questi rifiuta. Turiddu getta il vino e morde l’orecchio ad Alfio sfidandolo a duello. Turiddu corre a salutare la madre e, ubriaco e disperato, le dice addio e le affida Santuzza. Subito dopo si sente un vociare di donne e popolani.
Un urlo sovrasta gli altri: “Han’ammazzatu cumpari Turiddu!“.>

Gallo Paolo, Francofonte 21 Gennaio 2017.